Le bugie che ci raccontiamo sul conflitto israelo-palestinese

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Deja-vu. Un post sul conflitto tra Israele ed i palestinesi potrebbe finire qua. Non c’è niente di nuovo da raccontare, the same old shit. Se arrivo a scrivere qualcosa è per esasperazione e noia verso i soliti discorsi che si ripetono uguali dalla guerra dello Yom Kippur;  a volte fatti in buona fede, a volte per partigianeria e opposizione sterile tra falchi pro-Israele e colombe pro-palestinesi. Non è solo un problema di ignoranza, che sarebbe capibile: non si può pretendere che tutti siano informati prima di parlare di politica estera (o di qualsiasi questione). Ma c’è chi ne sa molto più di me sul conflitto e non fa altro che ripetere vecchie convinzioni, senza che l’informazione gli permetta di andare oltre tifoserie ed idealismi. Il miglior commento, forse, sarebbe il silenzio; ma voglio parlare per cercare di chiudere alcuni discorsi, senza pretesa di esaustività, e non parlarne mai più (o almeno non davanti allo specchio, ecco; che il mio cane mi crede pazzo).

“Due popoli – due stati”

Questa è la bugia più groarea-a-b-c1ssa di tutte. O meglio, la speranza più naif. Come si può pensare, nel 2014, di continuare a ripetere una soluzione pensata nel 1947 e mai veramente applicata? già con l’accordo di Oslo  si è messa nero su bianco la suddivisione del territorio palestinese in Area A, B e C, dove solo nei territori A i palestinesi hanno piena sovranità. Territori ora frazionati tra colonie israeliane illegali de iure ma legali de facto. Senza sovranità e confini territoriali, non esiste Stato. Entrambe le parti hanno implicitamente accettato che quella soluzione non era più praticabile: se esistono delle forme di autogoverno sono solo su gentile concessione israeliana. Per molti era un punto d’inizio; in realtà è stato un punto di fine. Il sogno di due stati di pari dignità che vivessero in pace è rinato con Oslo e poi subito morto, e questo non ha fatto che estremizzare le posizioni. Per questo è anche ingenuo pensare che se Israele facesse ora grosse concessioni verso questa soluzione tutto si risolverebbe: 60 anni (dato non definitivo) d’odio non si possono dimenticare, Israele dovrebbe rinunciare a troppo – e con troppo si intende: poteri e territori ormai israeliani in modo irreversibile – con l’unico risultato immediato di dare mezzi ai suoi nemici per attaccarlo. Se poi c’è chi come Kerry ancora un anno fa ne parlava, è come dire a Israele di fare come gli pare.

“Hanno iniziato prima i palestinesi! – no, hanno iniziato prima gli israeliani!”

A voler vedere chi ha iniziato prima si finisce a parlare della prigionia babilonese. Non sto a ripetere ciò che è sui libri di storia: l’escalation tra arabi ed ebrei è stato un lento crescendo di tensioni, fino ad arrivare ai primi assassinii da ambo le parti e poi alla guerra. Non sempre c’è un unico colpevole. Anche per giudicare il qui e ora non ci si può dimenticare della Storia, non si può ridurre tutto a chi ha lanciato questa volta il primo missile. Questo senza voler giustificare una faida perenne.

 

“Israele ha il diritto di difendersi!”

Israele ha diritto a difendersi, sicuramente; E gli attacchi aerei funzionano, distruggendo le armi e le munizioni in possesso di Hamas. La disparità di morti – se si vuol fare la contabilità dei cadaveri – è dovuta alla potenza militare israeliana, non ad una maggior volontà di uccidere, anzi: Israele ha più scrupoli verso i civili di quanti ne abbia Hamas, se non altro perché la strategia di Hamas è una strategia terroristica; semplicemente è impossibile evitare morti civili se si attacca un’area urbana sovra-popolata. Ma questo non vuol dire che Israele faccia veramente qualcosa per evitare che si arrivi ciclicamente a questo momento: Gaza è sotto embargo da mare e da terra ormai da anni; dopo l’assassinio dei 3 ragazzi Israele ha arrestato 500 militanti di Hamas, sostanzialmente a caso, facendo il gioco voluto dalle frange palestinesi più estremiste. Il bombardamento aereo è solo la soluzione più conveniente nel breve respiro, che permette ad Israele di tamponare il problema dei razzi senza il rischio di massicce invasione di terra. Del resto Hamas – o le sue cellule impazzite che stanno sabotando in questi mesi l’accordo con Al-Fatah – non rinuncia mai a fornire un casus belli, per fanatismo, interessi politici o necessità di ottenere qualcosa (come la rimozione dell’embargo).

 

“Ma Israele è un paese democratico!”

Certo che lo è. Ma c’è differenza tra quello che è l’organizzazione interna di una società, di una nazione, e quello che è il suo comportamento del mondo, che è ciò che interessa a noi. Negli USA la Corte Suprema ha ritenuto illegali le intercettazioni senza permesso della NSA su cittadini americani sul suolo americano, ma legali le intercettazioni in tutto il resto del mondo. Cosa interessa a noi? il diritto alla privacy – violato, ma questo è un altro discorso – garantito all’interno dei confini USA, oppure quello che l’NSA può fare nel resto del mondo di cui facciamo parte? L’Occidente appoggia le democrazie per riflessi della guerra fredda, ma anche perché ritiene che le democrazie siano meno aggressive e più ragionevoli nelle relazioni internazionali. Ma ciò che fa Israele, o che lascia fare, con il continuo appropriarsi di territori palestinesi da parte dei coloni, è una lenta invasione in piena regola. Del resto, proprio perché è un paese democratico, i politici israeliani non possono ignorare i sentimenti della popolazione israeliana, che non sono dei più concilianti, a ragione o no.

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“Quelli di Hamas sono terroristi, ma i palestinesi non hanno colpa”

Questa è una ipocrisia tutta occidentale, probabilmente nata dopo la seconda Guerra Mondiale, per giustificare che chi pochi mesi prima era il nemico nazista ora era l’alleato in prima linea nel fronte contro l’URSS. Hamas, prima dello scontro armato con Al-Fatah, si è presentata alle elezioni e le ha vinte. Per disperazione del popolo palestinese? perché portava i soldi del Qatar e della Fratellanza Mussulmana in una situazione economicamente disperata? certamente. Ma non si possono slegare in questo modo un popolo ed i suoi governanti; ogni palestinese di Gaza avrà una sua idea, alcuni appoggeranno Hamas altri no (anche se a vedere ciò che scrivono sui social-network, non lanciano molti messaggi d’amor), ma nel bene e nel male condividono uno stesso destino. La guerra è sempre un avvenimento collettivo, e nelle guerre tra due collettività le tragedie individuali sono tragedie, ma non slegate dal contesto. Non si può dire che i palestinesi siano in mezzo tra Hamas e Israele senza avere alcuna responsabilità su quello che sta succedendo.  Non è un giudizio morale, ma è un semplice dato di fatto.

 

“Una convivenza pacifica tra i due popoli è possibile”

Ok, so che qui rischio di buttare al vento quanto di buono – forse – ho scritto fino ad ora passando dalla parte dei falchi cinici ed anche un po’ stronzi. Questa è tutta una mia opinione.

Ma la realtà è che Israele ha vinto, i palestinesi ed i loro (ex) alleati arabi hanno perso tante guerre, ed ora stanno facendo la fine di molti altri popoli sconfitti della storia. Il diritto del vincitore sullo sconfitto è un dato di fatto, e interessa poco ciò che dicono le leggi internazionali.  La relativa indipendenza di Gaza è dovuta solo alla paura degli israeliani di dover gestire un’area così densamente popolata di palestinesi, che porterebbe problemi maggiori di quelli che porta ora.

Spesso infatti si riassume il problema attuale di Israele nel fatto che di 3 elementi fondanti della nazione – Ebraicità, territorio, democrazia – rischia di doverne perdere uno: se difende terra promessa e democrazia, è costretto ad accettare come cittadini israeliani gli arabi; se vuol difendere ebraicità e democrazia, l’unica soluzione è concedere territori ai palestinesi, come fatto da Sharon con Gaza; Se si vuol difendere ebraicità e terra promessa, l’unica soluzione è non dare pari cittadinanza agli arabi. La destra israeliana, dominante nel paese da decenni, sta cercando un compromesso per difendere tutte e 3 i pilastri fondanti della nazione, puntando a contenere il più possibile i palestinesi nei loro territori senza però bloccare l’espansione dei propri coloni.

Ad ora, quindi, l’unica convivenza possibile in Palestina è quella presente in Cisgiordania tra dominus e dominato, ed io questa non la chiamo convivenza pacifica, o almeno nel senso che spesso si intende. Per i palestinesi non c’è futuro in Palestina, solo sopravvivenza, anche questa per gentile concessione israeliana. Nel lungo termine, gli scenari migliori potrebbero essere due: o i palestinesi pacificamente rinchiusi nelle loro riserve indiane ( dove tra qualche secolo faranno soldi con i casinò), oppure un’unico nazione che include arabi ed ebrei ortodossi, con entrambi che dovrebbero riconoscere uno stato multietnico ed a-religioso, ma che arriverebbero inevitabilmente ad uno scontro.  La vera domanda da farsi è: almeno uno di questi due scenari è sostenibile?

2 pensieri su “Le bugie che ci raccontiamo sul conflitto israelo-palestinese

  1. fiorenzoboccaletti

    Bravo.
    Concordo su molte cose che hai scritto, quasi tutto.
    Mi lascia qualche dubbio soltanto ciò che scrivi circa la sovrapponibilità piena del popolo di Gaza col movimento Hamas.
    Sappiamo, la storia ce lo insegna, che un regime totalitario (anche se, formalmente, risulta eletto “democraticamente”) riesce a identificarsi con la propria gente nel momento in cui questa, obtorto collo, non può o non riesce ad esprimere compiutamente una scelta diversa dal binario tracciato.
    Nel ventennio, e fino prima della fase declinante della guerra, Italia e fascismo parevano un connubio indissolubile che poi tale non si è rivelato.
    Ritengo,di conseguenza, che, anche a Gaza, la maggioranza bulgara che sostiene il regime possa considerarsi più di facciata che altro; purtroppo senza uno sponsor politico ed economico che sia, attualmente, in grado di sostenere una eventuale opposizione.
    La unica prospettiva, poi, di un unico territorio sostanzialmente gestito dal vincitore Israele, raccoglie certamente il senso di un ragionamento logico inattaccabile; ahimè, politicamente, minaccia temporali infiniti nel medio termine, vista la perenne esplosività dell’intera area mediorientale.
    E non sempre campagne militari a bassa intensità come quella di questi giorni, si concluderanno con esiti “gestibili” dalla diplomazia internazionale.

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    1. armintstark Autore articolo

      Ciao Fiorenzo, grazie per il commento. Il discorso è che non c’è mai sovrapponibilità piena tra un popolo ed i suoi governanti, ma c’è sempre almeno in minima parte. Qui io vedo un certo consenso per Hamas, almeno in passato. E molti palestinesi, tra interviste e social-network, dimostrano di non pensarla troppo diversamente. I sistemi totalitari sono molto spesso tutt’altro che obtorto collo. Inoltre non è neanche vero che non ci sono alternative: ormai Hamas è debole, senza alleati, attaccato da frange più estremiste, obbligato alla riconciliazione con Al-Fatah.

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